“Se incontri il Buddha per la strada, uccidilo”

Ho visto l’alba del mio potenziale quando ho lasciato svanire la brillantezza dei miei idoli e ho fatto trionfare i mostri

La demolizione degli idoli

Lo psicoterapeuta Sheldon B. Kopp nel 1974 scrive un libro dal titolo: “Se incontri il Buddha per la strada uccidilo”. Trattando della cura che il terapeuta dovrà avere nella fase conclusiva di un percorso psicoterapeutico e dunque, dell’importanza di lavorare sul “tramonto” del ruolo del terapeuta dopo essere stato guida per il suo interlocutore, presenta tale argomento come analogia per sottolineare la grandezza del lavoro che ciascuno dovrà agire, durante il cammino di crescita personale. 

Si tratta della demolizione degli idoli, solo per avvicinarsi alla versione più autentica e migliore di sé (già ne parlò anche il filosofo F. Nietzsche nel 1888, nel libro Il crepuscolo degli idoli; come si filosofa col martello – originariamente intitolato Ozio di uno psicologo – riferendosi agli idoli impersonati dagli uomini del suo tempo – religione, ideologia e metafisica – che impedivano agli stessi il ritorno a una vita perfetta in armonia con la loro natura).

Copyright Aurora Maria Micheloni. Fotografia di Rhamely.

Vale a dire lungo il pellegrinare del viaggio verso la ricerca personale e spirituale di una versione migliore di sé, ci si ritroverà a confrontarsi con tutte quelle qualità, o credute tali – dunque perciò percepite-possedute dagli uomini, e che ri-cercheremo e ri-troveremo, in particolare modo, in quelle persone che definiamo guide.

Qualità che altrimenti non esisterebbero, se non nell’attribuzione di valore che è solo a opera dell’essere umano.

Nel testo di Kopp si narra del viaggio di un viandante che al termine del suo pellegrinaggio in qualità di discepolo, si accorge che nessuno può insegnargli qualcosa.

Appena rinunciato al ruolo di discepolo del suo idolo – maestro zen – egli viene infatti illuminato dal fatto che lui stesso ha sempre saputo come vivere al meglio, e che questa conoscenza sia da sempre appartenuta alla propria storia. 

Durante il mio viaggio

Sia quando sono in terapia o in formazione, che nella vita di tutti giorni, adoro quel brivido sull’epidermide che mi fa sentire quel che basta “sciocca” tra persone intelligenti. Per me quella sensazione significa che ho ancora qualcosa da imparare e dunque un ulteriore obiettivo verso cui puntare nel tempo che ho a disposizione in questa vita.

Ma qualche tempo fa è accaduto l’inatteso, ciò che ti sorprende. 

Ad essere del tutto sincera, nella mia esperienza di vita non è stato e non è per nulla raro tutt’oggi imbattermi nell’interazione con persone di valore

Nella mia carriera formativa e lavorativa ho incontrato (e ne incontro ancora), diversi uomini e donne che mi hanno sempre riservato una lezione. Il loro agire mi è apparso subito brillante, impeccabile. Veri e propri guru dove l’unica posizione che vale la gioia di assumere è quella del discente – discepolo davanti al maestro di vita, cercando di rassomigliargli nel modo migliore possibile. 

Allo stesso tempo ho anche incontrato persone che ho definito come mediocri, nelle quali ero in grado di scorgere difetti, talmente grandi da ripudiarli fuori dalla mia mente e alcuni anche dalla mia vita. Niente di più sbagliato! 

Ho commesso un errore

Sì. Anche una psicologa dalla mente più inamidata e ben pensante può sbagliare. Anzi: deve (prima o poi)! Se vuole crescere nel lavoro e accrescere il proprio potenziale. 

Sì. Proprio così. Non troppo tardi, forse, ho fatto pace con me stessa, o meglio con i miei tentativi erranti di trovare la “versione migliore di me stessa”. Così ho iniziato a concedermi di sbagliare sempre meglio, comprendendo che (diversamente da quanto ci hanno insegnato a scuola), se non sbagli e perseveri anche negli errori, non puoi migliorare

Riflettendo(ci): tu fai gli errori e quegli stessi poi fanno te, il tuo migliore e alto potenziale.

Ho fatto mia la lezione

L’incontro con gli altri può valere in ogni caso lo sforzo dell’unico vero confronto nobile: quello con sé stessi

Come sosteneva Ernest Hemingway, che per le emozioni forti in relazione alla sfida dei propri limiti, aveva la passione: “La vera nobiltà consiste nell’esser superiori a quel che eravamo ieri”.

Così anche lo scrittore francese Michel Houellebecq: “Il rapporto con gli altri diventa fondamentale per prendere coscienza di sé: e forse è proprio questo a rendere insopportabilmente (odioso n.d.r.) il rapporto con gli altri”

Così mi sono detta: sta a vedere che colui che maledico, l’avversario che temo, il “nemico” che etichetto aspramente come “mostro tenebroso”, ha a che fare con il mio alleato migliore, “il mio nemico più caro*”, colui che, come il Bianconiglio nello specchio di Alice, mi pone davanti a quel che definisco siano i miei stessi “mostri”, “difetti”, “limiti” e “paure”. 

*Werner Herzog

I miei migliori alleati

Ed ecco la mia folgorazione: i miei mostri come i miei migliori alleati

Ogni volta che ci si specchia in essi ci si incastrerà anche nel copione di un me* schiacciato dai rischi che non si corrono. E il rischio è di diventare un ulteriore massimo del proprio potenziale. Vale a dire: la versione migliore rispetto a “chi sono stata” fino a quel momento. 

Non esistono qualità “buone” o “brutte”, “mediocri” o “eccellenti” se non quelle che siamo coraggiosa-mente in grado di pensare e agire per noi stessi e di cui servirci per diventare la migliore versione e autentica di noi stessi, vale a dire di quella persona che vogliamo diventare.  

Dunque, “Agirò sempre in modo da accrescere il numero totale delle mie possibilità di scelta” (von Foerster): e la possibilità è quella di “essere” la versione migliore di me stessa. 

*George Herbert Mead

Ora sali in cattedra e cambia prospettiva

Il segreto è che non ci sono segreti. Uccidere il Buddha quando lo si incontra significa distruggere la speranza che qualcuno all’infuori di noi possa essere il nostro padrone. 

Nessun uomo è più grande di un altro, se non quel che ciascuno di noi potrà diventare rispetto a quel che era ieri, è oggi e sarà domani. 

Qual è infine, dunque, l’unica auspicabile consolazione di quel che resta del viaggio che facciamo attraverso il rapporto con gli altri, siano essi ai nostri occhi “idoli” o “mostri”? Riconoscere in ciascun essere umano il nostro compagno di strada.

“Tutte le battaglie significative sono combattute dentro di sé” (S. B. Kopp).

O come dice Confucio: “Se incontri un uomo di valore, cerca di assomigliargli. Se incontri un uomo mediocre, cerca i suoi difetti in te stesso”, trasformali nella tua risorsa migliore e usala in modo da elevare al massimo il tuo potenziale.  

(fine)

“L’Apparenza delle cose” di Aurora Maria Micheloni

Attraverso lo studio e il significato dei colori, ho realizzato quest’opera simbolo e reinterpretazione dell’inganno, nonché rappresentato dalle varie sfumature dei verdi. Il soggetto che ho dipinto è Medusa, figura mitologica greca. Insieme a Steno ed Euriale, è una delle tre Gorgoni, tre sorelle dall’aspetto stupendo, avevano ali d’oro, mani di bronzo, al posto dei capelli avevano dei serpenti, e chiunque le guardasse direttamente negli occhi rimaneva pietrificato; venivano considerati dei veri e propri mostri. Medusa rappresentava la perversione intellettuale. La leggenda narra che Medusa fu trasformata da Atena in un mostro come punizione per aver giaciuto con Poseidone in uno dei suoi templi, secondo altri era stata trasformata in un mostro sempre dalla stessa Atena perché era avversa a ella per aver osato competere con lei in bellezza. Medusa nella mia opera è quindi l’emblema dell’inganno, molti s’incantavano nell’ammirare la sua bellezza per poi rimanere eternamente pietrificati. Inoltre, anche i serpenti vengono identificati come creature ingannatrici, per esempio nella Genesi quest’ultimo consiglia subdolamente ad Eva ciò che Dio aveva proibito, traendola in inganno. Ho inoltre deciso di porre sopra l’opera un foglio removibile con dell’acqua, per accentuare ancor di più il significato del dipinto. Perché dell’acqua vi domanderete? Avete mai provato a specchiarvi su quest’ultima? Vi accorgerete che il vostro riflesso non è così nitido come nella realtà e che nemmeno ciò che vi sta all’interno è così visibile, per questo la limpidità e reinterpretazione della realtà delle cose resta solo nell’immaginazione e all’intelletto. La realtà di Medusa nel dipinto è nascosta dall’acqua sovrastante, l’osservatore a primo impatto immaginerà un’incantevole fanciulla, perché la realtà della visione è annebbiata dall’acqua, ma non si aspetta invece un mostro. Purtroppo, non solo nei miti o nei dipinti, ma talvolta anche nella vita reale restiamo ingannati dall’idea che ci poniamo di qualcosa che non osserviamo o conosciamo con chiarezza. Qui il titolo: L’Apparenza delle cose.

Aurora Maria Micheloni 

Classe 3°A – Maggio 2022
A.s. 2021-22 Liceo Artistico Verona

Pubblicazione su consenso dell’Autore e dei suoi stessi genitori e rappresentanti Legali (estratto da una psicoterapia su consenso degli stessi). In possesso di Copyright dell’Opera: L’Apparenza delle cose.